Trento, 28 Maggio 2020
Mvt- Il campione trentino di tutti i tempi-Nuova sfida: Trentin vs Ciech-Votate il vostro atleta del cuore
Dal Quotidiano L’Adige.
Alla ricerca del proprio Campione del Cuore
TRENTIN, LA FRECCIA DI BORGO
E pensare che per Matteo Trentin il ciclismo è cominciato per caso. «Un giorno con mio papà abbiamo visto dei ragazzini che pedalavano e mi ha chiesto se mi sarebbe piaciuto provare. Avevo sei anni».
Poi Trentin di chilometri ne ha percorsi a iosa sulla sua bici. Fino ad arrivare a vincere tre tappe al Tour de France, un Europeo e la medaglia d’argento ai Mondiali in Yorkshire, lo scorso anno. «Quella è una gara che mi ha fatto rodere parecchio, anche se devo ammettere che non mi posso rimproverare nulla: ho dato tutto ma ho trovato un corridore che in quel momento è andato meglio. Il mondiale resta però un sogno che spero di realizzare nel corso della carriera. Ci sono arrivato vicinissimo e dunque ora farò di tutto perché si realizzi».
Da dilettante aveva anche vinto il Liberazione e il Degasperi – due trofei di grandissima importanza, per la categoria – ma ora quasi nemmeno li mette più in vetrina. «Sono state belle soddisfazioni ma, come dico sempre, quando si diventa professionisti si entra in una dimensione diversa dello sport e tutto quello che c’è stato prima sembra di un altro mondo».
Praticare il ciclismo in Trentino è una scelta popolare e nello stesso tempo impervia, visti i precedenti che la terra vanta nel mondo delle due ruote. Eppure Matteo, tenace fin da giovanissimo, ha deciso di provarci. «All’inizio era un gioco. Era una cosa che mi piaceva fare ma soltanto verso i 15-16 anni ho cominciato a vedere la bicicletta come qualcosa di più di un hobby. Però devo ammettere che non mi è mai pesato fare qualche sacrificio pur di riuscire».
Ai tempi di Borgo Valsugana aveva praticato anche altri sport, con i suoi compagni di scuola. Calcio, basket e anche il volley. «Poi però, dopo le scuole medie, sono andato alle superiori a Trento e, tra viaggio e studio, non mi rimaneva moltissimo tempo. Così scelsi di dedicare le mie ore libere alla bicicletta».
Tanto più che i suoi idoli sportivi erano proprio due ciclisti. «Uno era Marco Pantani: per me era davvero un corridore che faceva cose strepitose sulla strada. L’altro era Gibo, Gilberto Simoni. In Trentino tutti noi ragazzini guardavamo a lui come a un ciclista da emulare».
Come sempre, come a tutti, anche a Trentin la vita ha riservato soddisfazioni e delusioni. Con una bilancia che pende nettamente a favore delle prime, grazie anche al fatto che si è sempre dedicato senza risparmio, anima e corpo, alla sua attività. Anche quando le cose sembravano prendere una piega sgualcita, Matteo ha saputo inamidare e raddrizzare. Come per esempio quando ha vinto l’Europeo di Glasgow. «Quella è stata forse la più grande soddisfazione della mia carriera. Solo qualche mese prima ero a letto infortunato ma sono riuscito a rimettermi in sella e addirittura vincere il titolo europeo. Davvero una gioia indescrivibile». Viceversa, è rimasto molto deluso dell’esclusione alle Olimpiadi di Londra, nel 2012. «Ricordo la sgradevole sensazione di quei giorni. Mi hanno fatto annusare l’aria olimpica, ero nei sei convocati ma poi sono stato relegato a riserva. E penso che invece in quell’occasione avrei potuto senz’altro dire la mia».
CIECH, L’ICARO CON DELTAPLANO
Una passione di famiglia, ereditata dal papà e trasformata in gloria personale, e addirittura in un lavoro. Christian Ciech, originario di Folgaria, nella sua casa di Varese ha una collezione di 12 medaglie d’oro mondiali che farebbero invidia a fior fiore di sportivi.
«Fu mio padre – racconta – a mettermi su questa strada». Che poi strada non è, visto che si parla delle vie del cielo. «Mio padre iniziò a volare nel 1975 quando io avevo 4 anni. Erano gli albori di questa disciplina. All’inizio tutta la famiglia lo seguiva, poi gli altri si stufarono. Io no e nel 1988 iniziai a fare sul serio».
Mai avuto paura?
«Sì. Quando voli la paura c’è. È un elemento essenziale e necessario perché ti serve ad evitare i pericoli».
Da giovane aveva un punto di riferimento?
«I due piloti di punta di allora, l’austriaco Manfred Ruhmer e il ceco Thomas Suchanek, che negli anni Novanta vincevano tutto. Manfred è tutt’ora uno dei più forti al mondo».
Quali doti servono per diventare un campione di deltaplano?
«Non è una questione prettamente fisica, anche se una certa preparazione serve quando per 10 giorni si vola per almeno 4-5 ore al giorno. Quello che conta è la lucidità mentale, la concentrazione che ti fa scegliere la direzione più appropriata per concludere il volo nel tempo minore».
Trova affinità con altri sport?
«A me piace moltissimo lo sci alpinismo e d’inverno mi ci dedico parecchio, se non sono in giro per il mondo per le gare. Poi, naturalmente, la bicicletta».
Se nella sua bacheca dovesse individuare il trofeo a lei più caro quale indicherebbe?
«Sicuramente il Mondiale 2015 perché è stato il stato il primo titolo “ad ala flessibile”, la specialità in cui c’è più competizione».
Se invece potesse cancellare una sua performance?
«Di sicuro il mio primo “tumbling”, quando mi sono rovesciato. Erano i Mondiali del ‘99 ed avevo poca esperienza. Avevo modificato il deltaplano e l’ho pagato caro».
Come riuscì ad atterrare?
«Con il paracadute d’emergenza. Quella fu una situazione in cui ebbi un po’ di paura. Paradossalmente, essendo successo a bassa quota e non essendoci tempo per gestire la situazione in altro modo non c’era rischio di fare una scelta sbagliata».
Dopo una decina di Mondiali, nel suo scrigno dei desideri cosa resta?
«Il Mondiale era qualcosa a cui tenevo molto e averlo vinto è stata la soddisfazione più grande. Ora mi piacerebbe conquistare due voli record: quello della distanza libera che ora è di 763 km; e quello del “volo di forma triangolare” che è di 370 km. Temo che quest’ultimo, però, resterà un sogno perché la morfologia del nostro territorio non è adatta ad imprese di questo tipo».
Lei ha avuto la fortuna di coniugare la passione con il lavoro. Si ritiene fortunato?
«Altroché. Alla Icaro mi occupo di sviluppo e prove in volo per le ali, così nei periodi di tempo buono possono volare tutti i giorni».
Dal Quotidiano L’Adige di Trento del 28.05.2020