Rescaldina (Milano), 31 Marzo 2023

Felice Gimondi : Ruote, Ricordi e presenza costante nella memoria di tutti

 

Norma Gimondi

Felice Gimondi, Ambasciatore del Ciclismo in Europa
Felice Gimondi, Ambasciatore del Ciclismo in Europa

FELICE GIMONDI, AMBASCIATORE DEL CICLISMO IN EUROPA

Papà aveva 16 anni quando cominciò a correre in bici. Era il 1958, guarda caso l’anno in cui è nato il Parlamento Europeo.
E in effetti, se penso poi alla sua carriera tra i professionisti, l’Europa – l’embrione di quella che è diventata negli anni l’attuale Unione Europa, oggi allargata a 27 nazioni – è stata un crocevia dei suoi destini.
I primi Paesi aderenti, assieme all’Italia, furono Francia, Belgio, Germania, Paesi Bassi e Lussemburgo.
La Francia è stata il teatro dei suoi primi grandi trionfi: vinse il Tour de l’Avenir, la più importante gara a tappe per dilettanti, nel 1964, e l’anno dopo sbaragliò il campo al Tour de France, che lo vide imporsi tra la sorpresa generale da neoprofessionista.
E che coincidenza, a proposito di Europa: quel Tour scattò da Colonia, in Germania, poi l’indomani arrivò a Liegi, in Belgio. Inoltre, tra i suoi avversari, la neonata e ancora ristretta Unione Europea era rappresentata al completo: c’erano 32 corridori francesi, 32 belgi, 17 italiani, 15 olandesi, 4 tedeschi e pure un lussemburghese.
Sempre in Francia avrebbe poi vinto, l’anno dopo, la Parigi-Roubaix, la corsa delle pietre, la più massacrante e prestigiosa delle corse di un giorno.
E sempre in quel 1966 avrebbe centrato un’altra grande classica, oggi un po’ in disarmo, ma all’epoca molto sentita e ambita: la Parigi-Bruxelles, poi rivinta a dieci anni di distanza.
Papà è stato un vero e proprio ambasciatore del ciclismo italiano in Europa.
Ha vinto anche in Lussemburgo, Svizzera, Spagna. Ma è stato protagonista pure in Olanda e in Inghilterra, dove nel 1970 conquistò la medaglia di bronzo ai Mondiali di Leicester.
E’ stato inoltre uno dei primi professionisti italiani a volere nella propria squadra corridori stranieri.
Nel biennio 1968-69 portò con sé il tedesco Rudi Altig, campione del mondo nel 1966 che divenne subito uno dei suoi più fedeli gregari oltre che grande amico per il resto dei suoi anni.
Poi chiamò i belgi Antoon Houbrechts, Walter Godefroot, Georges Vandenberghe, Guido Reybruck, Alex e Rik Van Linden, Johann De Muynck, quindi lo spagnolo José Manuel Fuente e il norvegese Knut Knudsen.
Tutta gente di spessore, che papà volle attorno a sé per avere un valore aggiunto di esperienza nei rispettivi territori, laddove la conoscenza delle strade – e non solo – poteva rappresentare qualcosa in più di un marginal gain – il guadagno marginale – così da mettere in difficoltà i suoi avversari, in particolare il rivale per antonomasia, Eddy Merckx.
A suo modo, se vogliamo, è stato uno dei primi “europeisti” ad uso sportivo.
Se Eddy fu la sua spina nel fianco, altri grandi corridori stranieri lo costrinsero a sudare le proverbiali sette camicie.
Ma a sua volta lui, mai domo, li costrinse a dar fondo a tutte le loro energie per cercare di sopraffarlo.
Lo zoccolo duro dell’Europa ciclistica di quei tempi era rappresentato da campioni di spiccata classe.
Il Belgio, Merckx a parte – e già bastava e avanzava… – poteva sfoggiare comunque gente come Roger De Vlaeminck, Lucien Van Impe, Hernan Van Springel e il primo Freddy Maertens.
La Francia rispondeva con Jacques Anquetil, Raymond Poulidor, Bernard Thevenet, Jean Stablinski e il giovane Bernard Hinault.
Poi c’erano l’Olanda di Jan Janssen, Gerrie Knetemann, Jan Raas e Joop Zoetemelk, la Spagna di Julio Jemenez, la Danimarca di Leif Mortensen, la Gran Bretagna dello sfortunato Tom Simpson.
Norma e Felice Gimondi
In tempi in cui il concetto di Europa Unita era solo un embrione, grazie al ciclismo papà poté allargare i propri orizzonti anche culturali, lui che aveva origini umili e veniva da un piccolo paese pedemontano come Sedrina, e che probabilmente da ragazzino non si sarebbe mai immaginato di uscire dai confini italiani, ma non impiegò poi molto a emanciparsi proprio in virtù di quelle frequentazioni e di quelle trasferte.
Tra compagni e avversari, si immerse in una sorta di “Erasmus ante litteram” di cui avrebbe poi beneficiato anche una volta appesa la bici al chiodo.
Mi piace pensare che il ciclismo rappresentò per lui un mezzo per apprendere, per conoscere altre realtà, e di conseguenza per avere una visione più ampia della vita, con l’Europa come fil rouge. Insomma, una scuola, una palestra.
E sono orgogliosa che, smesso di correre, abbia distribuito sul suo territorio le esperienze accumulate in quattordici anni di attività professionistica in giro per mezza Europa.

                              Norma Gimondi

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Di Bernardi Vito

Il mondo del cilcismo locale e nazionale ha trovato una nuova e qualificata vetrina online. Si tratta del sito www.pedaletricolore.it, fondato e diretto da Vito Bernardi, giornalista pubblicista, conosciuto da tutti nell'ambiente delle due ruote. Nelle sue pagine, Bernardi raccoglie notizie, comunicati stampa, immagini di corse, atleti, società, dirigenti, e la più ampia informazione su quello che accade quotidianamente nell'Alto Milanese, ma anche a livello nazionale ed internazionale