Torino, 26 Gennaio 2019
MESSINA HA RACCOLTO ILTESTIMONE DA MINARDI
ADESSO IL GRANDE GUIDO E’ LA MAGLIA ROSA PIU’ ANZIANA
FRANCO BOCCA
Dopo la morte del romagnolo Giuseppe Minardi, detto “Pipazza”, spentosi nei giorni scorsi all’età di 90 anni, la più anziana maglia rosa vivente è ora Guido Messina, 88 anni, il più forte inseguitore italiano di tutti i tempi.
Il suo curriculum sportivo è impressionante: cinque titoli mondiali nell’inseguimento su pista (due da dilettante, tre da professionista) tra il ‘48 e il ’56, l’alloro olimpico nel quartetto a Helsinki 1952, ma anche sette maglie tricolori e, appunto, la maglia rosa conquistata il 14 maggio 1955 al termine della prima tappa del Giro d’Italia, Milano-Torino, conclusasi sulla pista del Motovelodromo di Corso Casale.
Guido rivive con commozione quella magica giornata. “Sulla salita di Sambuy – ricorda – aveva allungato Tino Coletto, mio compagno di squadra alla Frejus, ed io facevo buona guardia in testa al gruppo per agevolare il suo tentativo, che tuttavia venne neutralizzato all’uscita di San Mauro, a cinque chilometri dall’arrivo.
In contropiede, grazie anche ad una spintarella che Tino ha ancora avuto la forza di darmi, sono scattato a mia volta, guadagnando subito 100 metri che poi sono riuscito a conservare fino al traguardo. Cinque chilometri erano la distanza di un inseguimento individuale, ed io ero campione del mondo in carica della specialità (nel ’54 aveva battuto in finale il grande Hugo Koblet, ndr)…. Fu una gioia immensa, soprattutto perchè ad applaudirmi c’erano tanti amici, visto che il Motovelodromo era un po’ la mia seconda casa”.
Va infatti sottolineato che Messina, nato il 4 gennaio 1931 a Monreale (Palermo), era arrivato proprio a Torino nel 1947 con la valigia di cartone e una bici scassata e della capitale subalpina aveva poi fatto la sua patria d’adozione. “In Sicilia vincevo tutte le gare – racconta Guido – e allora un mio compaesano che era emigrato a Torino mi convinse a raggiungerlo per tentare la fortuna in bicicletta, offrendomi vitto e alloggio in cambio di un aiuto nella sua bottega da ciclista in Piazza Savoia, nel centro storico della città”.
Fu decisivo l’incontro con l’ex-corridore Pierino Bertolazzo, che nel 1929 a Zurigo aveva vinto il titolo iridato dei dilettanti e che a quel tempo ricopriva la carica di C.T. azzurro degli stradisti dilettanti. “Fu il primo a individuare le mie doti di passista – ricorda Messina – e nel ‘48 mi segnalò a Proietti, il C.T. della pista, il quale mi convocò per gli allenamenti collegiali della nazionale.
Il quartetto degli inseguitori per le Olimpiadi di Londra era già stato designato, ma Proietti mi promise che mi avrebbe portato ai mondiali di Amsterdam.
Però c’era un problema: avevo solo 17 anni e mezzo e non avrei potuto partecipare alle gare iridate.
Per aggirare l’ostacolo la Federazione mi preparò un tesserino con la data di nascita corretta: 1930 anzichè 1931.
Vinsi, ma poi, nell’euforia del successo, mi dimenticai del tesserino contraffatto e ai giornalisti raccontai orgoglioso di essere siciliano e di avere 17 anni…. I francesi si affrettarono a fare reclamo, sembrava ormai certa la mia squalifica, poi per fortuna prevalse il buon senso e la maglia iridata rimase sulle mie spalle”.
Fu il primo di una lunga serie di successi.
Ma la vittoria più significativa, il fiore all’occhiello della sua straordinaria carriera, risale al 9 ottobre del ‘55 al Vigorelli di Milano in quella che venne definita “la sfida del secolo”.
L’avversario sconfitto, quella volta, si chiamava nientemeno che Fausto Coppi. “L’organizzatore Strumolo – ricorda Guido con emozione – mi aveva proposto un ingaggio da favola: 500 mila lire più il 12% dell’incasso.
Partii da Torino in auto con Pierino Bertolazzo, che nel frattempo era diventato il mio direttore sportivo alla Frejus, e mi feci lasciare a Magenta per percorrere gli ultimi chilometri in bici per scaldare i muscoli.
Davanti al Vigorelli c’era una folla immensa, al punto che feci fatica ad entrare.
Era tutta la gente che non era riuscita a trovare posto in tribuna, già gremita da 18mila spettatori.
Ne fecero poi entrare altri duemila direttamente nel prato con l’obbligo di stare seduti o in ginocchio, per non impedire la visibilità dell’avversario a noi corridori.
Io avevo 24 anni ed ero campione del mondo dell’inseguimento, Coppi aveva 36 anni, ma era ancora il numero uno del ciclismo mondiale e io lo temevo e ne avevo soggezione.
Contrariamente alle mie abitudini partii subito forte e lo misi in difficoltà.
Fausto provò a reagire, ma senza fortuna.
Vinsi con una cinquantina di metri di vantaggio e Fausto, con grande classe, venne a stringermi la mano, annunciando che di sfide ad inseguimento non ne avrebbe mai più fatte.
E io, con la cifra che guadagnai quel giorno, 1.450.000 lire, comperai a Torino un alloggio con camera e cucina…”.
Ai mondiali dell’anno dopo a Copenaghen Messina ebbe la meglio sull’astro nascente Anquetil e tre giorni dopo, come usava ai tempi d’oro della pista, si disputò la rivincita a Parigi. “L’organizzatore Dousset – ricorda Guido – mi chiese di lasciar vincere Jacques, così poi si sarebbe organizzata la bella.
Ma quando entrai in pista e sentii il boato della folla, tra cui vi erano moltissimi lavoratori italiani in Francia, mi venne la pelle d’oca e dissi che avrei fatto la mia corsa.
Così battei di nuovo Anquetil e per punizione per un mese non venni più invitato ad alcuna riunione”.
Dopo aver attaccato la bicicletta al chiodo nel 1962, è stato per anni Commissario Tecnico della pista azzurra e poi, fino al 1996, tecnico regionale del Comitato regionale piemontese della Federciclo per strada e pista.
Attualmente è Presidente dell’Associazione Piemontese Corridori Ciclisti.